Paolo Bianco calciatore
Quella che stai per leggere è la storia di Paolo Bianco calciatore, un grande uomo, prima che di un grande calciatore.
Dopo 20 anni da professionista Paolo ha cominciato la terza parte della sua vita, come dice lui.
La prima è stata l’infanzia, passata in famiglia, in campagna e in strada sfondando garage a pallonate; la seconda è quella di calciatore professionista esordendo a 18 anni in serie B e non smettendola più (ma si può tirarla così lunga?!? Mah…); la terza è quella da Mister.
Sai quel giocatore che è sempre stato un allenatore in campo e che è fondamentale per il gruppo anche quando non gioca? Ecco Paolo Bianco calciatore.
Naturalmente Paolo vuole fare il coach al massimo livello possibile, ma senza sfruttare o calpestare nessuno.
Non ne sarebbe capace.
Sarebbe come chiedere a Joda di passare dalla parte dell’Impero, a Balotelli di chiudere il profilo instagram e a Zanetti di uscire da casa spettinato, almeno una volta nella vita, anche solo per vedere l’effetto che fa.
Impossibile.
Sono quelle frecce che hanno una direzione da sempre.
Può esserci vento ma sai che colpiranno il bersaglio.
Fanno parte di quelle abitudini che abbiamo nella notte, dove senza accendere la luce troviamo la porta.
Quella porta sappiamo già dove ci porta.
Personalmente lo so da sempre.
Un Incontro magico
Ci siamo incrociati per un anno salutandoci cortesemente, mai una parola in più, riservati come un fascicolo top secret della Cia.
Eppure i nostri figli vanno a scuola insieme, a calcio insieme, a clarinetto insieme, a sanscrito insieme, a padel insieme e alla sera frequentano un circolo di bridge insieme…
ok forse abbiamo un po’ esagerato sul programma formativo.
Eppure abbiamo la stessa capigliatura afro-americana allergica al barbiere e lavoriamo entrambi nel calcio, lui dentro ed io fuori, anche se definire le nostre passioni un lavoro è un bell’azzardo.
Così, dopo aver scritto un trattato a quattro mani sulla riservatezza nei rapporti umani, finalmente un giorno scambiamo due parole, ci invitiamo a colazione e nasce un’intesa fatta di sguardi, di abbracci e di cose che solo noi sappiamo l’uno dell’altro.
Quando scopri di aver vissuto a migliaia di chilometri di distanza esperienze così simili, dove cambiavano solo i colori attorno ma il dolore, lo stupore, la voglia di vita era la stessa, mare e montagna che fosse, allora ti sembra di conoscerti da sempre.
Polentone o terrone it’s the same.
In quel momento capisci tutto.
Capisci le stelle, le scelte, i silenzi e i sorrisi.
Comprendi l’essere fianco a fianco guardando dalla stessa parte nello stesso modo.
Perché niente nella vita succede per caso.
Generoso per gioia
“Sono i calciatori che ti fanno diventare allenatore. Se non hai degli uomini in squadra sei morto. Ti servono quelli per vincere”,
mi dice il Paolo Bianco calciatore nella nostra prima colazione al nostro bar.
In realtà è il suo bar, dove pagare è impossibile quasi per tutti.
Le grandi persone hanno il cuore il grande.
Sono generose per gioia, mai per interessi.
“Quando raccoglievamo i carciofi nostro padre ci metteva di guardia ai campi. Ricordo la brina che mi entrava dentro alle 4 di mattina. Che freddo. Era durissima.”
E dopo una pausa, lunga come quella che ti permette di contemplare con lo sguardo il Golden Gate da una sponda all’altra, ecco un’altra parola, la parola chiave, quella sussurrata guardandosi dentro, quella che ti apre un mondo e chiude un cerchio:
“Bellissimo.”
Effetto brina
Nella comunicazione le pause sono l’oliva nel Martini, sono loro che danno il significato alle parole.
Il vero messaggio è proprio in quello che non viene detto, è la consapevolezza dell’effetto Brina.
Dopo l’effetto Von Restorff, il bias di memoria delle differenze per il quale quando notiamo qualcosa di particolare ci rimane impresso come la farfallina di Belen, ecco l’effetto Brina di Paolo Bianco.
Quel qualcosa che ti entra dentro, che ti costruisce un modo di pensare, di prenderti cura del tuo raccolto, della tua famiglia, della tua squadra.
La cultura del sacrificio, del dovere e dell’amore, perché poi, dopo tanta fatica è bellissimo raccogliere il frutto di un modo di essere.
Quella brina che ti costruisce una carriera, una famiglia bellissima, la stima di chi ti incontra, senza mai avere la fretta di dimostrarla.
Giorno dopo giorno sul campo come sui campi, aspettando che si alzi il sole e che ti scaldi le ossa. “Più mi mettono fuori e meglio mi alleno”,
sognando ancora una presenza dopo tanta brina.
“Non c’è lunga notte che non veda il giorno”
solo che bisogna stare lì al freddo, bisogna dare tutto, bisogna proteggere, bisogna portare i soldi in famiglia, bisogna essere il capitano della propria anima, bisogna avere fiducia senza chiedere niente in cambio, quella fiducia che solo la natura ti insegna.
Educazione foggiana
Quello che mi piace di Paolo Bianco calciatore è la sua purezza, il pensare in modo sistemico la vita, non solo il calcio.
In questo è incredibile.
Quando andiamo a prendere i nostri figli ha un’attenzione per tutti, non solo per le sue meraviglie.
Si muove verso gli altri bambini per aiutarli, per incitarli, per richiamarli se sbagliano.
Senza paura, col coraggio di chi ci mette sempre la faccia e si prende cura delle persone che gli vivono attorno.
La squadra viene prima di tutto
Piccoli gesti come dare una mano con gli zaini troppo pesanti, complimentarsi per una giocata, spiegare che quella cosa non si fa, che i compagni sono importanti e che la squadra viene prima di tutto.
Un pomeriggio ci ha invitati nel suo giardino per una partita vecchi/giovani vissuta dai nostri piccoli con la stessa carica emotiva di Fuga per la Vittoria.
Indimenticabile una sua rovesciata alla Pelé, un mio colpo di testa alla Luca Toni fuori di poco e l’incontenibile gioia dei nostri bimbi nel farci gol.
A bordo campo c’era una bottiglia d’acqua per tutti.
Bellissimo!
Quando Caressa ha mandato tutti a prendere un the caldo siamo stati invitati in casa ricevendo un’accoglienza che non so spiegare con le parole ma che auguro a tutti.
La storia Paolo Bianco calciatore
Se scrivo di me è solo perché un amico mi ha chiesto di farlo.
Sinceramente la cosa mi piace e vorrei iniziare a raccontarvi la mia storia partendo dalla fine; questa che sto disputando è la ventesima ed ultima stagione da calciatore professionista (con più di 500 presenze) ed ho la fortuna e la soddisfazione di giocare ancora in serie A.
Mi definisco il classico ragazzo del sud Italia, quello che passava tutto il giorno a giocare a calcio con gli amici per strada.
Che bello! … però erano altri tempi e un po’ pensando ai miei figli mi rammarico perché vorrei vivessero la mia stessa spensierata libertà all’aria aperta senza avere il timore che qualcosa o qualcuno possa nuocere.
Credo che niente nella vita avvenga per caso: tutto ciò che noi siamo e riusciamo ad ottenere è frutto della nostra capacità di rendere le cose migliori, anche quando non lo sono.
Se devo pensare ad una frase in cui riconosco il mio percorso non solo calcistico ma anche privato, sceglierei di sicuro questa:
“Siamo i padroni del nostro destino, i capitani della nostra anima.” (Morgan Freeman nel film Invictus parlando di uno dei miei idoli: Nelson Mandela).
Quindi, siate i capitani di questa miracolosa vita.
Durante la mia carriera ho avuto molti allenatori: con alcuni c’era intesa con altri no, ho quindi cercato di prendere il meglio della loro esperienza ma devo dire che non è stato per niente facile.
Per tutti prima o poi arriva il momento in cui c’è un primo importante Incontro e lo scrivo con la lettera maiuscola perché nel calcio è quella persona che, professionalmente parlando, tira fuori il meglio di te, delle qualità che nemmeno tu fino ad allora pensavi di avere.
Foggia
Da qui inizia la mia avventura nel mondo del calcio, cinque anni di settore giovanile e poi, inaspettatamente, l’esordio in serie B a diciotto anni nella mia città natale.
Capitano a 20 anni anche se non credo di essere stato il giocatore più adatto ad assolvere questo compito perché non avevo esperienza ma, per passione, comportamento e attaccamento alla maglia, sicuramente lo potevo rappresentare.
Tutto poi è andato crescendo, dopo aver disputato quattro campionati arriva il momento della prima esperienza lontano da casa… al nord.
Treviso
Devo dire che è stato qualcosa di incredibilmente bello!
In quegli anni ho imparato a conoscermi e a tirare fuori la parte migliore di me. Non sono stati anni facili per tanti motivi: allenatori a cui non piacevo, infortuni pesanti.
È a questo punto che voglio dire una cosa: se mi trovo ancora nella massima serie a 37 anni è perché proprio in quei momenti non ho mollato ed ho creduto nel mio percorso, nella voglia di arrivare, nel sogno di quando ero bambino e tiravo la palla nel garage dei vicini (che ancora oggi ne porta i segni!).
Una volta rialzato, feci il secondo Incontro importante, quello che cambiò per sempre il mio modo di vedere il calcio.
Arrivò un mister rivoluzionario, innovatore nei metodi e nell’approccio con noi giocatori, il suo stile mi conquistò così tanto che in quel momento decisi che a fine carriera avrei voluto provare a fare l’allenatore.
Catania
Come gran parte dei giocatori non mi sono fermato ed ho cambiato squadra, ancora il sud: la Sicilia, ma non da solo questa volta, con la mia futura moglie.
Anni bellissimi, un posto da favola non solo per la tanto sognata promozione in serie A ma per come sono stato bene con le persone.
Anni importanti per la mia carriera, non mi sedetti mai in panchina.
Cagliari
Dopo un paio di stagioni la Sardegna, un altro paradiso.
Un impatto non idilliaco come d’altronde sono abituato ad avere, ma il tempo mi ha sempre ripagato con la stima di compagni, società, tifosi e stampa.
Ci sono momenti in cui penso a cosa non rifarei se potessi tornare indietro, ed una di queste è stata forse la scelta di andare via da quest’isola tornando in terraferma.
Ma anche dagli errori si impara: non sempre ciò che appare è.
Mi accorsi subito che non era il posto giusto per me, molti dei miei nuovi compagni intrattenevano rapporti con gruppi di tifosi organizzati, una situazione che non ho mai tollerato e condiviso nel mio lavoro.
Durante la mia carriera calcistica ho sempre cercato di intrattenere rapporti cordiali con tutti, sia che fossero semplici tifosi sia che si trattasse di veri e propri ultras, senza mai permettere a nessuno di invadere il mio spazio e tantomeno quello dei miei affetti.
La mia famiglia è tutto ed il tempo che le dedico quando sono a casa deve essere totale e possibilmente non avere niente a che fare con il calcio…
a meno che non siano i miei figli a chiederlo.
Chiuso quell’anno con una retrocessione in serie B, decido di sposare un nuovo progetto calcistico in una piccola realtà ma con delle grandi potenzialità.
Sassuolo
Questa è la sesta ed ultima società della mia carriera (Paolo Bianco calciatore).
Sono stati anni particolari, di grandi emozioni e anche di grandi delusioni, soprattutto da chi ci si aspetta una tutela ed una garanzia. Ho capito che in questo mondo calcistico resti sempre un prodotto da soldi e quando questa visione sciama sei fuori.
Meglio non aspettarsi troppa riconoscenza.
Per quest’ultimo anno ho un obbiettivo: mettere piede in campo per l’ultima volta!
Lavorerò duro per permettermi questi minuti da professionista, voglio essere pronto.
Un grande insegnamento
Vorrei concludere dicendo qualcosa a chi inizia ad intraprendere questo lavoro: fatelo se per voi è una passione, non una moda ma una vocazione.
Ai genitori, visto che lo sono anch’io, mi permetto di dire: non cercate di riscattare la vostra passione a scapito dei vostri figli, lasciateli stare.
Andate a vederli giocare e se lisciano la palla fatevi una bella risata, insegnateli a divertirsi; se il talento c’è verrà fuori al momento opportuno e sarà vero talento non fumo negli occhi.
Attenzione ai procuratori, che già in adolescenza promettono grandi carriere pur di prendere in procura un giovane calciatore.
Infine ho qualcosa da dire anche alle società: siate una famiglia per questi ragazzi che spesso sono soli e molto giovani, non permettete qualsiasi capriccio solo perché vedete una possibile fonte di guadagno futuro.
Costruite degli uomini e non dei burattini, anche voi siete responsabili della crescita di queste menti non solo di questi corpi.
Se avessi la bacchetta magica tornerei a trent’anni fa, quando il calcio era solo una palla da dover far passare tra due bottiglie, non voglio sembrare ‘vecchio’ ma maturo.
Ragazzi non perdete mai di vista la semplicità, restate genuini perché è l’unica cosa che nei momenti bui vi dà la vera forza di rialzarvi e la vera voglia di giocare…
si giocare con impegno e fatica.
Ponetevi degli obbiettivi e raggiungeteli con le palle!!
Tutto ciò che ho avuto l’ho sempre desiderato e poi conquistato con tutte le mie forze; spero che questa mia testimonianza possa essere un piccolo aiuto a tutti coloro che hanno dei sogni ed hanno voglia di realizzarli perché credetemi:
è qualcosa di impagabile.
Grazie Alessandro per questa possibilità, per amare la vita e le sorprese che ci presenta.
Tanta roba.
P.